In confronto a una nanoparticella, un granello di sabbia sembra enorme.
Adulate da alcuni, maledette da altri, difficile esserne indifferenti al pensiero che le nanoparticelle si imbuchino nel nostro piatto. Non le avete ancora conosciute? Prendete il vostro microscopio a effetto tunnel, ci tuffiamo nell’infinitamente piccolo!
“Nanoparticella” rimanda ad un’unità di misura, il nanometro (nm) che è 1000 milioni di volte più piccolo di un metro. Siamo nella scala del DNA e degli atomi. Per meglio rappresentarvi il rapporto, “un uomo è tanto piccolo in confronto al sole, quanto è grande davanti a una nanoparticella”.
Impossibile, quindi, percepire le nanoparticelle ad occhio nudo.
Esistono due tipi di nanoparticelle: da un lato, quelle che sono prodotte in modo non intenzionale (incendi forestali, vulcani, motori diesel, riscaldamento, tabacco, ecc.), più spesso chiamate polveri ultrafini. Un essere umano emette minimo 100.000 particelle ultrafini al minuto attraverso della sua epidermide.
D’altra parte, ci sono i laboratori e i loro microscopi ultrapotenti che lavorano su scala nanometrica. Si tratta in questo caso di nanoparticelle prodotte artificialmente per le loro proprietà psico-chimiche. È questo processo che ha a che fare con le nanotecnologie e i nanomateriali. Per farla breve, siamo andati a esplorare ad una scala compresa tra 1 e 100 nm per scoprirne un po’ di più sulla faccenda.
Uno dei primi a parlare di nanoparticelle fu il ricercatore americano Richard Feynman nel 1959, che in particolare promise che sarebbe stato presto possibile pubblicare tutta l’enciclopedia Britannica sulla cruna di un ago. Ma le sue scoperte furono tenute poco in considerazione e si dovette attendere Kim Eric Drexler nel 1986 perché questa tecnologia diventasse popolare.
E l’entusiasmo fu enorme: per certi scienziati, le nanoparticelle avrebbero avuto un impatto rivoluzionario al pari dell’invenzione della macchina a vapore, dell’elettricità o di internet. Addirittura.
In effetti, le nanoparticelle hanno avuto delle applicazioni in tutti i campi della vita: in medicina, potranno combattere contro una sfilza di patologie, correggere le aberrazioni genetiche al fine di sconfiggere certe malattie. Drexler evoca persino la possibilità di ostacolare l’invecchiamento e di prolungare indefinitamente la vita. Nell’industria, consentiranno di costruire materiali inediti più resistenti dell’acciaio, ma leggeri e che resistono alla trazione, all’abrasione o al freddo.
“Nelle caramelle o nelle creme al cioccolato sono presenti nanoparticelle, per dare consistenza, intensificare i colori o ancora per prolungare la conservazione.”
Numerose imprese ne fanno uso: ne troviamo nei cosmetici, negli imballaggi, nei vestiti, negli elettrodomestici, nei materiali da costruzione e la lista potrebbe essere ancora lunga. Infatti, le nanoparticelle hanno proprietà molto interessanti: per esempio quelle di diossido di titanio offrono una protezione anti-UV nelle creme solari senza lasciare il film di grasso sulla pelle, mentre i nanosilici hanno azione antiagglomerante negli zuccheri in polvere o nel sale da tavola. Alcuni studi ipotizzano che potrebbero essere una potente arma contro i virus. Sono inoltre utilizzate negli imballaggi alimentari.
Insomma, non le vediamo ma sono tra noi.
Se da un lato si conoscono i benefici che possono avere i nanomateriali, dall’altro si iniziano a valutare i rischi reali che possono nascondersi in questa nuova tecnologia.
Sempre più studi puntano il dito contro le nanoparticelle: certi nanomateriali accumulati potrebbero causare tumori, provocare delle deteriorazioni delle cellule e mutazioni genetiche. Si teme anche l’effetto “cavallo di Troia”: i nanomateriali sarebbero accusati di trasportare degli inquinanti così come dei metalli pesanti o i pesticidi. Peggio ancora, queste nanoparticelle si accumulerebbero nel nostro organismo: i nanomateriali inalati (quelli presenti nei detergenti, ad esempio) non sono espulsi totalmente e possono essere ritrovati nei bronchi e nell’apparato digerente.
Quanto a quelli ingeriti tramite l’alimentazione, li si ritrova ad esempio nel sistema endocrino, nella milza, nel fegato o nel cervello. Anche la via cutanea può essere percorsa dalle nanoparticelle, in particolare nelle pelli che hanno subito lesioni. Allo stesso modo, la loro onnipresenza nei nostri prodotti di consumo permette una diffusione di tali nanomateriali nel nostro ambiente, soprattutto tramite le acque reflue.
Prendiamo ad esempio il nano-argento: grazie al suo potere battericida, è largamente impiegato e lo ritroviamo negli alimenti, nei bendaggi o nei deodoranti. Se non che il Consiglio Superiore della salute pubblica francese, ad esempio, nel suo parere del 12 marzo 2010, raccomanda un’alta vigilanza rispetto a questa nanoparticella e punta il dito contro “la sua capacità di accumulazione intracellulare, uno stress ossidante, un agenotossicità ed una citotossicità per apoptosi (morte cellulare programmata)”.
Quanto alle famose creme solari senza film grasso, contengono il biossido di titanio (TiO2).
Al biossido di titanio è stato attribuito un ruolo potenzialmente carcinogenico dalla Canadian Centre for Occupational Health and Safety (CCOHS) e dall’International Agency for Research on Cancer (IARC). Rassicurante…
In un rapporto sulle nanotecnologie e la salute datato 2012, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) chiede l’applicazione del principio di precauzione sui nanomateriali. Alcuni infine già non hanno dubbi a paragonare le nanotecnologie agli OGM ed allo scandalo dell’amianto.
Oggi, le associazioni si stanno battendo innanzitutto per la trasparenza ed i media ne parlano (anche se non abbastanza).
Recentemente, l’associazione Agir por l’environnement ha lanciato il campanello d’allarme a più riprese. Ha testato quattro prodotti industriali: contengono tutti dei nanomateriali senza che ciò sia indicato. Più recentemente, ha sottolineato la presenza di diossido di titanio (ricordate, lo stesso che si trova nella crema solare) utilizzato da numerose marche di dolci per i suoi effetti su colore e consistenza. Una minaccia per i bambini il cui organismo è in pieno sviluppo.
Diminuendo i prodotti industriali e particolarmente quelli che impiegano additivi, siete sulla buona strada. Il biossido di titanio (potenzialmente sotto forma di nanoparticelle), è indicato come E171 nelle etichette. Potete anche trovare la lista dei prodotti che ne contengono sul sito di Open Food Facts. Quanto all’ossido di silicio, l’antiagglomerante utilizzato nel sale, nello zucchero, nel latte in polvere… si tratta dell’E551. Oltre alla lettura delle etichette, il modo migliore per diminuire la propria esposizione a queste sostanze è cucinando o passando al “fatto in casa” per i vostri prodotti detergenti e cosmetici.
(Leggi anche: Come pulire casa con soluzioni zero-waste)
Nel suo libro, Sophie Carenco esprime i suoi dubbi: “al di là delle questioni sanitarie, alle quali dovranno rispondere un gran numero di studi argomentati e una scelta sociale di tipo rischi/benefici, le nanotecnologie sollevano numerosi interrogativi etici, in particolare in riferimento all’inasprimento delle disuguaglianze mondiali (monopolio tecnico) e al nostro rapporto con la natura e con l’essenza della vita (intelligenza artificiale, trasformazione del vivente).
Le risposte non saranno fornite dalla scienza, ma gli scienziati dovranno rendere intellegibili al pubblico le conseguenze delle nanotecnologie.”
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