Quando il cellulare smette di funzionare sorge spesso un dubbio: sarà il caso di ripararlo o faremmo prima a comprarne uno nuovo? Se è capitato anche a voi, significa che almeno una volta vi siete scontrati con l’obsolescenza programmata. Questa è l’espressione che si usa per indicare le tecniche adottate dalle aziende per ridurre il ciclo di vita dei prodotti messi sul commercio. Qual è lo scopo di questa strategia? Molto semplice: spingere il consumatore ad acquistare di nuovo.
Tutto ciò accade mentre la maggior parte delle persone sarebbe disposta a riparare i propri beni tecnologici, senza comprarne altri. Ma i loro buoni propositi vengono schiacciati dagli interessi delle aziende. Infatti, i costi di riparazione sono talmente alti che risulta più conveniente cambiare prodotto, nonostante la spesa sia di qualche euro in più.
Ma l’obsolescenza programmata non pesa soltanto sulle nostre tasche. Infatti, comporta una serie di conseguenze molto gravi. Prima di tutto, i rifiuti. Buttare, invece di riparare, significa ingrossare a dismisura una discarica tecnologica che ha già raggiunto dimensioni preoccupanti. Cellulari e computer sono tra i primi responsabili dell’aumento di questo tipo di spazzatura.
Un altro problema molto grave è l’impatto climatico. Secondo alcuni studi, prolungare di un anno la vita di uno smartphone e di altri dispositivi elettronici ridurrebbe sensibilmente le emissioni di CO2. Inoltre, la durata media di un cellulare è davvero molto breve (circa tre anni). Il rapporto tra uso e durata di questi prodotti e l’energia consumata per realizzarli risulta ancora troppo svantaggioso per l’ambiente.
E poi c’è il consumatore. Abbiamo già detto che il suo intento è quello di riparare piuttosto che buttare. Tuttavia, nel migliore dei casi i costi sono troppo alti; nel peggiore non ci sono centri di riparazione a cui rivolgersi. Di fronte a questa situazione, le persone sono costrette ad acquistare un nuovo prodotto, con la flebile speranza che duri più a lungo del suo predecessore. Così, l’obsolescenza programmata ci impoverisce, mentre fa la fortuna delle aziende.
A livello legislativo si può fare qualcosa per impedire tutto ciò? Forse sì, forse no. O meglio, si potrebbe fare molto, ma non è mai così facile. Uno degli esempi più virtuosi è quello francese. I nostri vicini hanno fissato delle pene e delle sanzioni molto pesanti contro quei produttori che deliberatamente riducono il ciclo di vita di un prodotto. Grazie a queste iniziative, sono partite le prime cause che hanno investito alcuni giganti del commercio.
Una nota positiva è stata l’iniziativa del Parlamento europeo. Infatti, nel 2017 ha emanato una risoluzione in cui invita gli Stati Membri a promuovere prodotti con cicli di vita più lunghi. La speranza è che l’Italia possa accogliere questo invito per contrastare il fenomeno dell’obsolescenza programmata.
Il colosso Samsung si è recentemente espresso sulle attuali misure prese in esame per contrastare l’obsolescenza programmata. La multinazionale coreana ha dichiarato che gli attuali provvedimenti presi in esame dal Senato rischiano di estendere troppo la garanzia dei prodotti. Quali potrebbero essere le conseguenze? Un rincaro dei prezzi per i consumatori (tanto per cambiare).
Eppure, soltanto un anno fa proprio Samsung, insieme ad Apple, è stata protagonista di una vicenda molto intricata. I due giganti sono stati multati dopo che l’Agcm ha accertato pratiche commerciali scorrette condotte da entrambi. L’accusa è quella di aver rilasciato aggiornamenti volti a rallentare e danneggiare il funzionamento dei dispositivi. Se cercate un chiaro esempio di obsolescenza programmata, vi consigliamo di leggere questo articolo.
Nel frattempo, molti centri di assistenza abbassano le serrande ogni anno. In un contesto come quello italiano, non ci sono le condizioni per la loro sopravvivenza. Per questo è indispensabile avere delle leggi che rendano più conveniente la riparazione. Molte persone non riescono nemmeno a trovare qualcuno a cui rivolgersi per aggiustare lo smartphone o il tablet. Rassegnate e insoddisfatte, ripiegano sulla soluzione più comoda: comprare un nuovo dispositivo.
La beffa è che più centri di riparazione aperti si traducono in nuovi posti di lavoro. La lotta contro l’obsolescenza programmata potrebbe rivelarsi una buona strategia per contrastare la disoccupazione, oltre a far risparmiare i consumatori. Finora è stato fatto troppo poco, ma la strada da seguire è già tracciata.
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