Conciato di San Vittore: il formaggio libero che nasce in carcere

Questa è la storia di come produrre il cibo può diventare, in alcuni casi, un lavoro che parla di riscatto e dignità. Il Conciato di San Vittore è il protagonista: un protagonista che nasce in carcere.

E il carcere dove è ambientata questa storia non è quello di San Vittore, come si potrebbe dedurre dal nome del formaggio, ma quello di Rebibbia a Roma.


San Vittore è invece un paese in provincia di Frosinone, nel Lazio, luogo di origine del Conciato, che oggi è arrivato nel penitenziario romano. Qui un gruppo di detenute produce secondo tradizione questo formaggio raro e speciale sotto la direzione di Vincenzo Mancino, uomo che della passione per i prodotti laziali ha fatto la sua professione, e che noi abbiamo incontrato per farci raccontare il suo lavoro.

(Leggi anche: Il pane dei detenuti è buono due volte)


conciato


Vincenzo, che formaggio è il Conciato di San Vittore?

Il Conciato è uno dei formaggi più antichi del territorio laziale, che viene aromatizzato con una serie di erbe per essere mantenuto a lungo. Il latte è quello delle pecore che pascolano anche oltre i 2.000 metri di altitudine. E proprio le erbe dei Monti Aurunci vengono usate per conciare il formaggio: coriandolo, ginepro, semi di finocchio, anice stellato, aglio, pepe nero e bianco, timo serpillo, maggiorana, origano, alloro, rosmarino e salvia. Il risultato è un formaggio a crosta fiorita, stagionato circa 50 giorni, molto aromatico e a pasta bianca, morbida, umida e piuttosto friabile.

A seconda della stagione, di quello che mangiano le pecore al pascolo, e delle erbe che riusciamo a raccogliere, il Conciato avrà un sapore leggermente diverso: ma anche questo è il bello, il gusto del prodotto artigianale non può in nessun caso essere standardizzato.

Ma il risultato è sempre ottimo.


conciato di san vittore

Il Conciato di San Vittore


(Leggi anche: La sostenibile stagionalità del formaggio di capra)


Perché si dice in giro che il Conciato stava scomparendo?

Perché Teodoro Vadalà, l’ultimo casaro a produrre il Conciato di San Vittore, stava abbandonando la professione senza lasciare eredi.

Io, che nel frattempo battevo il Lazio in lungo e in largo per via del mio progetto DOL (Di Origine Laziale) ho incontrato il Conciato e me ne sono innamorato. Con pazienza e scalfendo la sua iniziale diffidenza sono riuscito a convincere Teodoro a venire con me a Rebibbia (dove stava nascendo Cibo Libero Agricolo) per insegnare alle detenute a produrlo.

Ora sono tre persone a fare il formaggio nel caseificio del carcere, e due fuori: una persona che lavora in DOL e una ‘quasi ex’ detenuta, che si occuperà anche della distribuzione del Conciato attraverso altri canali.



Che tipo di lavoro state facendo a Rebibbia, con Cibo Libero Agricolo?

Cibo Libero Agricolo è il caseificio che abbiamo aperto all’interno della sezione femminile del carcere di Rebibbia, incontrando non poche difficoltà, tra l’altro.

Da quando tutto era pronto a quando siamo riusciti a partire con la produzione sono passati ben 9 mesi. Ora però ce l’abbiamo fatta, e nel caseificio quattro detenute hanno un impiego retribuito, e producono tre tipi di formaggio, il cui numero 1 è proprio il Conciato di San Vittore. I formaggi fatti da Cibo Libero Agricolo non hanno nomi, ma numeri: formaggio 1, formaggio 2 e formaggio 3, a sottolineare l’alienazione che può crearsi all’interno di un posto dove i numeri spesso sono identificativi di un posto come le celle o numeri di matricola.


conciato cibo libero agricolo


“Crediamo che questa esperienza possa contribuire a buttare giù un pezzo di muro di incomunicabilità tra chi è dentro e fuori il carcere, possa dare a queste donne un’altra opportunità di vita e una speranza nel futuro fuori da qui attraverso l’acquisizione di un mestiere e la possibilità di una più reale integrazione sociale al fine pena.” – si legge sul sito di Dol, a proposito di Cibo Libero Agricolo.

Noi siamo più che orgogliosi di ospitarli come produttori della nostra rete, oltre a sperare che iniziative come queste crescano e si moltiplichino.

Ad maiora!


 

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Riguardo a

Simona Cannataro

Calabrese trapiantata a Torino, studia e lavora nella comunicazione fino a quando la passione per il cibo buono non la porta dritta all’Alveare che dice Sì! Quando non si occupa di postare sui social e scrivere sul blog, viaggia in Vespa alla ricerca di nuovi posti dove andare a mangiare.

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