Il pane dei detenuti è buono due volte

Le storie dei produttori sono sempre le più belle da raccontare. E la storia di oggi ce la racconta Emilia, socia della cooperativa Liberamensa, che lavora con i detenuti della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino. E che coi detenuti fa il pane di Farina nel Sacco.


Il progetto Liberamensa

Tutto nasce una decina d’anni fa, quando la Cooperativa Ecosol, che lavora nella manutenzione verde, vede nascere al suo interno un progetto legato al cibo: Liberamensa. I campi d’azione erano poi così diversi che Liberamensa si è resa indipendente nel febbraio di quest’anno.

Il pane dei detenuti è solo uno dei progetti che Liberamensa porta avanti.

Emilia ci spiega che tutto è nato con la vincita del bando per la gestione della cucina centrale del carcere – che da subito ha voluto dire avere come dipendenti tanti detenuti, e rendersi conto di quanto era importante e impegnativo portare avanti un progetto di recupero della persona attraverso il lavoro.

Iniziano poi l’attività di catering, sempre con base nel carcere ma in una cucina più piccola: e siamo diventati talmente bravi che abbiamo deciso di aprire un ristorante!


ristorante liberamensa

immagine da Liberamensa.org


Se cercate un posto dove andare a mangiare il sabato sera, non vi verrà in mente il carcere: eppure dovreste provare.

L’entrata è libera su prenotazione, solo il venerdì e il sabato sera: il ristorante è bello, buono e sta andando davvero bene.

L’anno scorso abbiamo fatto circa 1500 coperti: siamo riusciti a servire tante persone, a parlare del progetto a tutti, per diffondere una tematica non proprio ‘mainstream’ come il lavoro e il recupero dei detenuti. Loro qui lavorano sia come camerieri che come cuochi. Ma non è sempre semplice: molta gente è ancora prevenuta.

Noi no. Che si fa allora sabato sera, cena in carcere?


pane farina nel sacco


Il pane rende liberi

Tre anni fa arriva il panificio dei detenuti: Farina nel Sacco. All’interno dell’area detentiva un capannone ha iniziato a sprigionare profumo di buono: i detenuti dipendenti producono lì dentro tutto il pane del carcere, più quello della panetteria di Torino, quello di diversi bar e ristoranti e ora anche di tanti Alveari.

Inizialmente hanno fatto un po’ di fatica: Il progetto sociale piace a tutti, spiega Emilia, ma l’etica da sola non vende, non basta dire che devi aiutare la povera gente per essere sostenibile.

Bisognava rendere il pane il più buono e particolare possibile!

Abbiamo allora stipulato diverse collaborazioni, adesso lavoriamo con Viva la farina, ragazzi giovani e appassionati, facciamo il pane con le loro farine macinate a pietra e rispettando la lievitazione naturale.

Poi hanno una linea di pani con lievito madre, fatti con 9 farine diverse, dal grano saraceno alla semintegrale fino ad arrivare alla monococco. E grissini, brioches, torte, biscotti…e per Natale anche dei magnifici panettoni!


biscotti farina nel sacco


Come si diventa detenuti panettieri?

Ma come si fa a lavorare per Farina nel Sacco?

I detenuti possono applicarsi e poi vengono scelti dagli assistenti sociali.

I requisiti sono diversi: età, interesse verso il tipo di lavoro, stato di salute e… una pena abbastanza lunga! Perché – dice Emilia – le risorse sono poche, e investire sulla formazione è più redditizio per noi, se il detenuto rimane a lavorare con noi per un tempo sufficientemente lungo. A meno che non si tratti di persone già specializzate: ad esempio con noi lavora un pasticciere che deve scontare una pena breve ma è una risorsa davvero preziosa!

Oggi a lavorare per Liberamensa sono in 17, di cui 7 sono detenuti, e gli altri 10 tra civili ed ex detenuti.


Credo – continua Emilia – che ci sia tanta gente che vorrebbe lavorare con noi ma non può, soprattutto per una questione di fondi. Già, perché ovviamente chi fa il pane e i dolci che amiamo tanto, detenuto o civile, deve essere pagato!

Il che vuol dire, in pratica, che iniziative come quella di Liberamensa potrebbero – e dovrebbero – ingrandirsi e moltiplicarsi. Vista la bontà di quello che fanno, sia in termini di gusto che sociali, noi facciamo un tifo sfegatato.

E voi?


 

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Riguardo a

Simona Cannataro

Calabrese trapiantata a Torino, studia e lavora nella comunicazione fino a quando la passione per il cibo buono non la porta dritta all’Alveare che dice Sì! Quando non si occupa di postare sui social e scrivere sul blog, viaggia in Vespa alla ricerca di nuovi posti dove andare a mangiare.

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