Intervista con Amélie Poinssot, giornalista e autrice del libro Who Will Feed Us? (Chi ci nutrirà?).
Pubblicato a febbraio 2024, questo libro è il risultato di una lunga indagine sul futuro dell’agricoltura: tra il preoccupante calo del numero di lavoratori nel settore e l’arrivo di nuove figure nel mondo agricolo, Amélie Poinssot traccia le prospettive dell’agricoltura alimentare in Europa.
Inizi il tuo libro con l’allarmante espressione: “è la storia di una emorragia.” Cosa intendi ?
In Europa, la tendenza attuale è la diminuzione del numero di aziende agricole e l’espansione di quelle esistenti. Forse l’unica eccezione nel panorama europeo è la Grecia, che mantiene ancora un numero significativo di piccole aziende agricole. Inoltre, entro il 2030, la metà degli agricoltori sarà andata in pensione.
Un esempio di questa tendenza globale è la Francia, che nel 2020 contava meno di 400.000 aziende agricole, rispetto ai 4 milioni di un secolo prima.
Lo stesso si osserva in Italia: tra il 2007 e il 2022 il Paese ha visto una riduzione del 37% delle sue aziende agricole, in particolare le piccole aziende sono diminuite del 51%. Questo declino è stato accelerato dalle politiche pubbliche, in particolare negli anni ’60, con leggi di orientamento agricolo che incoraggiavano l’espansione delle aziende.
Allo stesso tempo, figlie e figli di agricoltori sono stati spinti a trasferirsi in città e ad intraprendere carriere diverse dall’agricoltura. Sempre più persone senza un background agricolo vogliono entrare nel settore, ma non ricevono i mezzi per farlo, quindi l’emorragia continua.
Quali fattori spiegano questa tendenza negativa e la mancanza di entusiasmo?
Il mestiere di agricoltore è percepito come poco attraente. Non viene valorizzato né in ambito accademico né nella sfera pubblica. Anche all’interno delle famiglie di agricoltori, i genitori hanno spesso incoraggiato i figli a scegliere un’altra strada.
Le cause principali sono la bassa redditività rispetto alle ore di lavoro e la durezza del mestiere, oltre ai limiti della professione legati all’impegno costante e senza molta flessibilità. Oggi, essere agricoltore, soprattutto nel settore dell’allevamento, significa accettare un certo tipo di stile di vita, spesso molto faticoso.
Come menzioni nel tuo libro, la PAC- Politica Agricola Comune- potrebbe essere un potente mezzo per ripopolare il mondo agricolo. Come?
Le autorità pubbliche potrebbero agire per rendere il settore più attraente. In un’epoca in cui la tecnologia gioca un ruolo predominante e molte persone cercano un senso più profondo e significativo nel lavoro, le professioni agricole offrono proprio questa opportunità. Oggi, la Politica Agricola Comune rappresenta il più grande budget pubblico europeo, ma il problema sorge nelle modalità di distribuzione. Non è sufficientemente dedicata al ricambio generazionale.
L’orientamento generale e storico della PAC è quello di offrire incentivi alle aziende agricole in base alla loro dimensione, favorendo quindi l’espansione delle aziende esistenti piuttosto che l’insediamento di nuovi agricoltori.
Ma più un’azienda è grande, più sarà difficile comprarla. Questo ha portato allo sviluppo di aziende non trasferibili, che non trovano acquirenti o vengono acquistate da finanziatori o manager che non coltivano direttamente la terra. Così si perde il legame tra proprietà e attività economica. Se vogliamo tornare a un modello più sostenibile e fermare l’emorragia, dobbiamo contrastare l’agricoltura industriale.
Nel libro scrivi che questa crisi potrebbe essere un’opportunità per trasformare il modello dominante e far entrare nuove figure nel mondo agricolo. Chi sono queste persone?
Sempre più persone senza un background agricolo vogliono entrare in questo mondo. Non sono vincolati da un modello agricolo tradizionale dai genitori e arrivano con una mentalità nuova e con convinzioni politiche ben definite. Spesso vogliono produrre in modo ecologico, spinti da una sensibilità ambientale.
Attraverso la mia ricerca ho delineato alcune tipologie di profili. Alcuni sono giovani che, sin dall’inizio, desiderano lavorare in agricoltura e scelgono un percorso di studi inerente. Poi ci sono giovani tra i 30 e i 35 anni che, dopo una prima carriera lavorativa, a volte in settori affini all’agricoltura, decidono di avvicinarsi maggiormente a quest’ultima ed essere più in linea con le loro convinzioni. Infine, ci coloro che, dopo i 40 anni, da un passato di cittadini benestanti possono permettersi il rischio di dedicarsi a mestieri meno remunerativi e dedicarsi all’agricoltura; partendo da zero ma con un certo capitale.
Secondo te, quali politiche potrebbero favorire l’aumento di questi nuovi insediamenti?
Le politiche pubbliche sono il fulcro del problema. Ciò che manca è una distribuzione più equa delle risorse. In Francia, ma anche in Italia la situazione è la stessa, gli aiuti per l’insediamento degli agricoltori sono quasi sempre destinati agli under 40. Tuttavia, come abbiamo visto, sempre più persone scelgono di iniziare più tardi. I tempi cambiano, ma le condizioni di accesso agli aiuti rimangono le stesse.
In Francia il Dotation Jeune Agriculteur (DJA), creato nel 1973 per sostenere le zone in difficoltà, ad oggi aiuta solo un terzo di coloro che avviano un’azienda agricola. Questa misura, che dovrebbe svolgere un ruolo centrale nella politica di supporto alla creazione delle aziende agricole e pensata per contrastare l’esodo rurale, non è più sufficiente.
Per quanto riguarda l’Italia, il Programma di Sviluppo Rurale (PSR) attua la Politica Agricola Comune attraverso misure specifiche gestite a livello regionale. L’obiettivo è promuovere il ricambio generazionale e l’insediamento di giovani nel settore agricolo attraverso l’erogazione di mutui agevolati e contributi a fondo perduto come il “premio di primo insediamento”. Tuttavia, spesso questa misura si è rivelata inadeguata per coprire i costi iniziali , rendendo quindi l’efficacia piuttosto limitata. In altri casi, il premio ha creato dinamiche distorte, traducendosi in un mero cambio formale della titolarità aziendale, mentre il controllo effettivo rimaneva nelle mani del precedente proprietario, risultando in un’operazione che si limitava a un’iniezione di fondi nell’azienda.
Al contempo, anche le autorità locali, i comuni e le comunità svolgono un ruolo importante. Possiedono terreni agricoli e possono scegliere di aiutare giovani agricoltori a stabilirsi, ma anche assicurare loro opportunità, creando una catena virtuosa: istituire mercati e integrare i produttori locali nella catena alimentare della comunità (scuole, case di riposo, etc.).
Autore: Jill Cousin
Foto di copertina: Anne-Claire Héraud
I dati sull’Italia sono stati aggiunti successivamente all’intervista, a seguito di una ricerca separata.
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