Biomatto: dalla frenesia della città alla vita in campagna

Oggi abbiamo parlato con Francesca Lanocita di Biomatto, la mente dietro un’azienda agricola che si dedica alla coltivazione di piantine orticole da semi rari e antichi, fiori eduli, micro ortaggi e produzione di uova.

La sua è una storia affascinante caratterizzata da un significativo cambiamento: il passaggio da una vita frenetica in città, nel caos di Milano, ad Arona, sul Lago Maggiore.
Questo cambiamento ha portato Francesca a mettere in discussione gli antichi ritmi cittadini, abbracciando una prospettiva legata invece alla natura.

Cosa ti ha spinta a passare da una vita in una grande azienda a Biomatto e alla produzione agricola?

Il mio percorso lavorativo si è svolto in città, occupandomi di comunicazione per grandi agenzie di pubblicità. Mi piaceva il lavoro che facevo… Ma non nel modo in cui era svolto. Proprio per questo ho deciso di mettermi in gioco in prima persona, fondando l’agenzia di comunicazione – tutt’oggi esistente – “Sottosopra Comunicazione”. Questa esperienza mi ha dato molte soddisfazioni, ma il ritmo di una città come Milano mi stava ormai stretto.
La mia svolta di vita è stata quando io e mio marito abbiamo “incontrato” nostra figlia. Dico in questo modo perché l’abbiamo adottata in Cina. Oggi lei ha 16 anni, all’epoca aveva 13 mesi… Da quel momento è cambiato il mio lavoro! 

L’incontro con vostra figlia come ha cambiato il tuo percorso di vita?

Avere un figlio è impegnativo ed è una grande responsabilità, in quel momento inizi a condividere con lei tutti i valori, ma anche tutta una serie di modelli di riferimento. In più, è vero che abbiamo dato una seconda possibilità ad una persona che sarebbe cresciuta senza genitori, ma d’altra parte l’abbiamo sradicata da una realtà, una terra millenaria che le apparteneva. L’idea è stata di farla crescere lontana dai ritmi di una città come Milano, che ti “costringe” ad essere milanese. Quindi abbiamo deciso di trasferirci ad Arona, sul lago Maggiore, in una piccola dependance nel terreno che era dei miei genitori, un luogo più piccolo che ha ridimensionato anche le nostre vite in senso non più consumistico. Non volevo passare a lei il messaggio che la vita la compri e non la devi vivere.

Possiamo dire che avete voluto abbandonare il cemento per fare spazio alla terra, un modo diverso di vivere?

Assolutamente! Il pensiero è stato: “La campagna è terra”, che sia Messico, Cina, Italia, non cambia nulla. È una situazione archetipica, antica, non c’è la città che ti devia. Ci è sembrato l’ideale per una persona che si doveva trapiantare in un luogo nuovo, ho sfruttato l’opportunità coltivando nell’orto di famiglia quello che cresce in Cina. Molte cose si trovano alla nostra stessa latitudine, ci sono similitudini pazzesche tra la nostra terra e la loro. Pensa a tutti i contatti che ci sono stati tra le due realtà: Marco Polo, gli scambi commerciali, gli spaghetti, i ravioli. Ci sono tutta una serie di verdure che nessuno conosceva e che adesso iniziano ad essere utilizzate anche in Italia, come ad esempio il pak choi.
Nello stesso periodo abbiamo anche dato vita a dei progetti formativi, in particolare ci siamo occupati di pedagogia della natura tramite un’associazione culturale che si impegnava a formare insegnanti. 

Da questa nuova vita in campagna come arriviamo al progetto Biomatto?

Dopo circa 4-5 anni di vita in campagna ci siamo trasferiti in una nuova struttura,  diventata poi Biomatto. Ho iniziato anche a coltivare fiori eduli e piante aromatiche, sfruttando una serra dove il vecchio proprietario si occupava di floricoltura. Questo mi ha portata ad entrare in una nicchia della ristorazione.

Quindi avete iniziato a fornire ai ristoranti i vostri prodotti? Di cosa si tratta e come si lega alla sostenibilità della vostra produzione?

Abbiamo sopperito ad una mancanza di offerta molto grossa:  per quanto riguarda i fiori eduli, sono importati tutti da agricolture intensive dell’Olanda. E quindi per i ristoranti non c’era praticamente scelta. Per noi sostenibilità vuol dire filiera cortissima, considera che non mandiamo i nostri prodotti nemmeno agli Chef di Milano che ci contattano. La sostenibilità per noi è legata alla relazione umana, sono io stessa che vado dai ristoratori. Instauri con loro dei rapporti umani che cambiano tutto, per noi è fondamentale. Inoltre, ci vengono restituiti tutti i contenitori che usiamo e che servono anche per coltivare. Per fare questo necessitiamo di più risorse e manovalanza perché dobbiamo stoccare i materiali, lavarli ecc. Ma questo crea anche più possibilità, ad esempio per l’inclusione sociale. Diamo lavoro a persone svantaggiate, che in questo modo ci danno una grande mano nello svolgimento delle varie mansioni.

Il vostro è dunque un modello di economia circolare?

Esatto, io non semino a caso e poi vendo. Gli Chef mi prenotano i prodotti e poi io semino, in modo da ridurre lo spreco alimentare. Non siamo una grande distribuzione, siamo “artigiani”, perciò abbiamo dei limiti, ma anche tutti i valori del caso. Ogni prodotto racconta una storia: biodiversità, circolarità, pazienza. 

Biomatto si focalizza su piantine orticole da semi rari e antichi. Puoi condividere con noi l’importanza di preservare queste varietà e le eventuali sfide da affrontare?

Prima di tutto si tratta di produrre, come filiera corta, tutto quello che la grande distribuzione non fa: i prodotti del territorio e quelli più specifici che sono parte della conoscenza dei piccoli contadini che si tramandano i semi da generazioni. Anche se  oggi tutto questo sta scomparendo, perché molti contadini preferiscono andare nei garden a comprarsi le piante.
Per noi si tratta di una vera e propria necessità sociale legata alla conservazione dei semi e delle varietà. La sfida sta nel fatto che un tipo di produzione come la nostra richiede più tempo, risorse e fatica oltre che competenze specifiche.

Il 2023 è stato l’anno più caldo di sempre (almeno dal 1850, quando abbiamo iniziato a misurare la temperatura). Questo come intacca il vostro lavoro?

Il problema del caldo rende tutto stranissimo; soltanto 7 anni fa arrivavamo a -12 gradi in questo periodo, mentre adesso arriviamo a stento a  -5, -6 gradi. Di giorno con il sole arriviamo a 18 gradi! Con questo clima potresti continuare a coltivare per più tempo rispetto al passato, però bisogna considerare che la terra ha bisogno di riposare, oltre al fatto che noi siamo davvero sfiniti – arriviamo anche a 18 ore di lavoro al giorno! La stagione ormai si è allungata e dobbiamo riorganizzarci, non possiamo mantenere questi ritmi per tutta la stagione. 

Quindi come vi adattate a questa situazione, cambia la produzione?

Avendo avuto la possibilità di studiare i semi e la biodiversità, oggi abbiamo trovato modo, anche a causa di questi cambiamenti di clima, di coltivare piante più “tropicali” come il cucamelon, l’ocra e piante che solitamente crescono in Africa.
In generale cambiano i cicli di produzione, non tanto la varietà, perché noi comunque coltiviamo solo prodotti più di nicchia e non altri tipi di verdure in campo aperto come verze, zucche, zucchine ecc.

In conclusione, quali sono le ricompense più significative derivanti da questa scelta di vita?

Ti rispondo come feci con mia figlia quando mi chiese chi me lo facesse fare di sopportare tutta questa fatica. Io credo non si impari per slogan, ma solo vivendo.
La vita di prima era come stare in una realtà virtuale, in cui l’obiettivo è solo di fare meno fatica possibile. Ma è sopportando e superando certe fatiche che arrivi veramente a capire quello che gli sforzi fatti possono portarti a raggiungere.

Il percorso di vita di Francesca, da una carriera nel mondo frenetico milanese, ad un’esperienza radicata nella terra con Biomatto, è un viaggio intrapreso con coraggio e determinazione, in cui la scelta di trasferirsi ha dato vita a un progetto agricolo legato anche alla ristorazione con prodotti sostenibili.
Biomatto non è solo un’azienda agricola, ma un laboratorio di biodiversità, economia circolare e inclusione sociale, dove la produzione e la vendita di piantine orticole si intreccia con i valori profondi di relazione umana e rispetto per l’ambiente. La loro scelta di vita e lavoro è una testimonianza di come la connessione con la terra possa offrire non solo prodotti unici, ma anche un modo diverso di vivere.

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