È dalla dimensione locale, dalla comunità, che può nascere e svilupparsi il cambiamento.
La solidarietà tra gli esseri umani, il senso di giustizia e il rispetto per l’ambiente dovrebbero risiedere nella natura di tutti noi, perché è di questo che dovremmo vivere.
Il cambiamento necessario può venire dall’agricoltura: rivoluzione colturale , mutamento culturale.
Rilanciare l’agricoltura, come attività primaria per ri-costruire il territorio e la comunità. Abbiamo dimenticato i temi portanti della nostra società del passato e questo ci sta creando enormi problemi di non facile soluzione.
E’ in atto una profonda crisi sistemica che di fatto ci porterà necessariamente a rivedere la struttura della società attraverso un patto tra città e campagna.
L’agricoltura non è importante solo perché produce il cibo di cui ci nutriamo, essa presidia anche il territorio, l’ambiente, la biodiversità. Anche e soprattutto in questo ambito ora più che mai è necessario abbandonare approcci settoriali a favore di una visione di insieme attraverso la partecipazione di nuovi attori e di nuovi mezzi: le reti, la democrazia partecipata, diversi stili di vita, diverse modalità di consumo.
È necessario praticare un’agricoltura meno impattante sull’ambiente, che eviti gli sprechi, che sia più in armonia con la natura. È necessario, là dove possibile, un passo indietro, passando dall’agro-industriale alla bio-agricoltura, tenendo ben presenti i grandissimi problemi di fame ancor oggi presenti più che mai sul Pianeta.
Occorre creare e gestire sistemi economici locali basati sulle filiere agroalimentari corte come elementi fondamentali di una strategia di sviluppo partecipato e auto-sostenibile. Necessita non solo regolare l’uso e il consumo del suolo, ma delineare un indirizzo strategico di trasformazione dei processi produttivi e degli insediamenti urbani.
Si dovrà riconoscere e compensare agli agricoltori l’espletamento di funzioni che attualmente non vengono considerate nella composizione dei prezzi delle derrate, come la tutela della biodiversità, la sistemazione, la cura ed il mantenimento del paesaggio, la tutela da disastri ambientali.
Molte sono le esperienze che a vari livelli e in vari modi si stanno già sperimentando in tantissime realtà locali del Mondo ed è auspicabile che riescano presto a provocare una vera e propria rivoluzione culturale.
Dunque due rivoluzioni, con termini che hanno la stessa genesi, colturale e culturale. Colturale per diversi modi di coltivare con l‘utilizzo di fertilizzanti organici di origine naturale, diversificazione delle colture, recupero di semenze abbandonate, arature meno profonde o addirittura senza aratura attraverso il recupero e riutilizzo delle sostanze nutritive, disegno, cura e gestione del territorio. Culturale attraverso il coinvolgimento di tutti i cittadini verso la partecipazione attiva nelle politiche pubbliche e nelle scelte indirizzate a nuovi e diversi stili di vita e di consumo.
Nell’attuale assetto economico i contadini tradizionali stentano a vedere riconosciuto in termini economici adeguati il loro impegno quotidiano: lavorano molto, sostengono costi molto elevati non riuscendo talvolta ad ottenere un compenso dignitoso. Molti di loro sentono necessario un cambiamento, una rapida conversione verso produzioni biologiche se non biodinamiche, ma spesso si devono scontrare con insormontabili pastoie burocratiche, talvolta pensando seriamente all’abbandono, ma la domanda è: se si dovessero arrendere di cosa ci nutriremmo?
Nei nuovi patti città-campagna, che si stanno discutendo, si parla di obbligare ogni centro abitato a destinare una adeguata porzione di territorio ad uso agricolo ed anche dell’obbligo di pianificare l‘utilizzo di questi terreni per garantire una adeguata e funzionale autonomia alimentare.
Occorre ripensare le produzioni locali in un’ottica di questa autonomia, è oramai un problema da affrontare nell’immediato, come, del resto, della necessaria svolta ecologica in cui il produrre non dovrà più essere l‘accumulazione di beni, spesso inutili, ma il produrre benessere per tutti attraverso i concetti di cura, responsabilità e comunità.
E’ così che la bio-regione o l’eco-territorio diviene tutela e produzione di complessità ecologica a chiusura locale, con produzioni tipiche, paesaggi tipici ed una sua peculiare identità culturale.
Se tutti avessimo coscienza di cosa ci nutriamo e di come questo cibo dovrebbe essere prodotto per garantirne qualità e salubrità questo basterebbe per produrre il cambiamento.
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