“Ah che bell’ ‘o cafè
Pure in carcere ‘o sanno fa” cantava Fabrizio De Andrè, nella sua indimenticabile “Don Raffaè”. In questo caso però non parliamo del carcere di Poggioreale, ma di Pozzuoli. E del caffè prodotto delle sue detenute. La Cooperativa Lazzarelle nasce infatti qui, nel 2010. Da ormai 10 anni si occupa di produrre caffè nel carcere femminile di Pozzuoli, promuovendo riscatto sociale e valori ambientali. Infatti non solo viene data occasione alle detenute di dimostrare le loro capacità in un ambito lavorativo, ma viene fatto celebrando la materia prima. E noi dell’Alveare non potevamo far altro che innamorarcene.
Abbiamo parlato con Imma Carpiniello, presidentessa delle “Lazzarelle”, per saperne di più sul loro lavoro.
L’idea è nata un po’ di tempo fa, con l’idea di andare a creare nel carcere una vera e propria impresa legata al caffè. Quello che facciamo è infatti garantire vere e proprie opportunità lavorative per le detenute di Pozzuoli. Inizialmente abbiamo selezionato noi le donne che hanno partecipato, e abbiamo iniziato con loro un percorso di formazione. In un secondo momento, questo percorso si è trasformato in un’educazione Peer to Peer, con le lavoratrici già esperte che educano le nuove arrivate, in un clima di grande serenità.
Sicuramente in un primo momento la prima reazione è stata la diffidenza. Ormai però siamo presenti da 10 anni, e in questo tempo siamo riuscite ad acquisire credibilità. Le donne che lavorano con noi sono felici di essere scelte, in quanto possono cimentarsi in un lavoro diverso da quello che farebbero nelle “normali” mansioni del carcere. Inoltre, la distribuzione di caffè avviene al di fuori della cinta muraria. Le detenute devono presentarsi vestite, non in ciabatte, perché ci teniamo molto a dare loro l’idea di “andare al lavoro”. Ognuna di loro ha inoltre un contratto, quindi diritti e doveri da rispettare e di cui devono prendere coscienza. Infine, spesso le portiamo con noi durante gli eventi a mercati e fiere, per reintrodurle gradualmente ad una sorta di normalità.
Principalmente quella di garantire un lavoro remunerativo e un posto di occupazione alle detenute. Ma anche, in un certo senso, per invertire la rotta nell’industria del caffè, che è tipicamente un lavoro maschile. Basti pensare che colui che lavora nella torrefazione viene chiamato torrefattore, mentre con il termine torrefattrice si identifica la macchina con cui il caffè è preparato. Il nostro obiettivo quindi è quello di dare un’inversione di marcia a questa situazione.
Certamente. Abbiamo deciso di intraprendere quest’avventura con il caffè non solo perché è il prodotto tipico della mia città, Napoli, legato ad antiche tradizioni, ma anche per una questione di sostenibilità. Siamo un progetto sostenibile, sosteniamo la filiera etica del caffè, che dà spazio ai piccoli produttori piuttosto che ai grandi industriali del settore.
La Cooperativa Lazzarelle collabora infatti con una realtà etica e sostenibile italiana, Shadhilly. Cooperativa di commercio equo del marchigiano. Shadhilly ha l’obiettivo di “riappropriarsi” del commercio equo e solidale, avendo rapporti diretti con i produttori e utilizzando metodi naturali nel rispetto dell’agricoltura biologica. Il caffè è infatti uno dei simboli dello sfruttamento dei lavoratori nel sistema economico, ma allo stesso tempo anche del commercio equo solidale. Ad oggi, Shadhilly importa il suo caffè da cinque cooperative in 3 diversi Paesi: Guatamala, Uganda e Haiti.
Il motto della Cooperativa Lazzarelle è “Donne non si nasce, si diventa”, come detto da Simone de Beauvoir.
Quella di Imma è una storia di donne che non si arrendono, una storia che parte dal carcere di Pozzuoli ma che può potenzialmente comunicare valori che dovrebbero essere trasmessi all’intera nazione.
Ma soprattutto, quella della Lazzarelle è una storia di rivalsa, di inclusione e, non da ultimo, di grande speranza tutta al femminile.
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