Di formaggi eccellenti l’Italia è piena, ma tra le varie regioni il Piemonte merita certamente il posto d’onore per quanto riguarda la produzione casearia.
Qui i formaggi sono la base delle popolari fondute, si sposano ai risotti, si liquefanno sugli gnocchetti, si mescolano ai ripieni di pasta fresca, ma soprattutto sono ottimi così come sono, accompagnati da un bicchiere di buon vino.
La produzione del latte piemontese è molto antica, introdotta da popolazioni indoeuropee qui emigrate nel 5000 a.C. con mandrie di bovini. Se è vero che circa l’80% della produzione italiana di formaggi proviene dalle regioni montuose, l’arte casearia italiana ha la sua massima punta creativa in Piemonte, dove i formaggi la fanno sicuramente da padrone. Questo soprattutto per l’influenza francese, che rende il Piemonte l’unica regione italiana in grado di competere con i transalpini nella produzione di formaggi di capra.
Il Piemonte è il paradiso degli amanti del formaggio.
Ed è la regione con il maggior numero di formaggi in Italia, di latte vaccino, ovino e caprino. Pensate che sono circa 50 i formaggi censiti nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali.
Di formaggi eccellenti il Piemonte è pieno. Qui si producono il Gorgonzola DOP (per lo più in provincia di Novara); il Grana Padano DOP ed una sua derivazione, il Valgrana. In questi formaggi però, se prodotti in modo industriale, spesso insilati e unifeed la fanno da padroni. Ciò significa che non dovrebbero essere annoverati fra le eccellenze.
Mentre i formaggi che vengono prodotti artigianalmente, da animali al pascolo e alimentati con una dieta solo a base di erba e foraggio di alta qualità sono un alimento 100% naturale. Tra le eccellenze piemontesi non possiamo non ricordare la Toma e il tomino, così come il Bra ed il Castelmagno. Ma ci sono poi tanti altri meno conosciuti formaggi eccellenti per filiera e processo di produzione. Sono il Bruss, il Raschera, la Robiola di Roccaverano, il Montebore, il Bettelmatt, il Plaisentif, la Paglierina, il Murazzano, il Maccagno e altri ancora. Vediamone insieme alcuni.
Cominciamo con il Bettelmatt, mitico formaggio d’alpeggio ottenuto da latte crudo di animali di razza bruna alpina che vivono sui pascoli polifiti (con più specie di fiori erbe e piante) dell’Alpe di Bettelmatt, oltre i 1800 metri e fino ai 2400 metri, in Val d’Ossola.
Si produce in soli 7 alpeggi dell’Ossola, situati tra la Valle Antigorio e la Val Formazza, nei Comuni di Baceno, Premia e Formazza. Una zona di grande fascino con panorami unici, aria rarefatta e un grande pascolo che conferisce al latte profumi eccezionali grazie alla mutellina, o motellina in ossolano, un’erba di cui i bovini sono ghiotti. Il Bettelmatt si produce solo in alpeggio, pertanto trattasi di un latte e un formaggio 100% biologico per natura e inutile dirlo molto salutare.
Si produce inoltre da una sola mungitura e, dato che i pascoli in altura sono soggetti alle incertezze del tempo, solo nei mesi estivi. Se ne producono dalle 3000 alle 5000 forme l’anno. Questo formaggio è preziosissimo, è chiamato anche la “Rolls Royce dei formaggi italiani”, proprio perchè la produzione è limitata a poche migliaia di forme l’anno, che vanno a ruba nel giro di qualche settimana e al massimo entro Natale! Questo formaggio è molto costoso (40 euro al chilo), la stagionatura minima è di 2-3 mesi, ma è con stagionature più lunghe che aumentano la complessità di aromi e sapori.
Il secondo formaggio eccellente che voglio citare è la Robiola di Roccaverano DOP, l’unico caprino DOP del Piemonte. Di questo formaggio si discute, tra i puristi e i tradizionalisti, del fatto che venga utilizzata anche una certa percentuale di latte vaccino e ovino per prepararlo, oltre al latte di capra. La versione oggi più diffusa si prepara comunque con un 50% di latte crudo intero di capra della razza Roccaverano, di capra camosciata alpina e loro incroci. Il rimanente 50% è latte di pecora delle Langhe e latte di vacca della razza piemontese e bruna.
Il Disciplinare della robiola di Roccaverano DOP prevede che le capre stiano al pascolo dal 1 marzo al 30 Novembre, nel periodo restante sono alimentate in stalla con foraggi verdi o foraggi conservati (fieno) e cereali, leguminose, semi oleosi. Il formaggio si produce tutto l’anno nel territorio delimitato dalla Dop (parte delle province di Asti e Alessandria), da dove deve provenire anche il foraggio degli animali.
La stagionatura deve essere di almeno tre giorni e può superare i trenta. Si presenta con pasta color avorio, consistente, sapore leggermente acidulo.
Il formaggio Montébore è un formaggio riscoperto dopo decenni di abbandono ed oggi è tutelato dal Presidio Slow Food che ha lo scopo di tutelare e non disperdere prodotti del territorio ancestrali e a rischio di estinzione. Ha una forma unica, composta di tre robiole una sopra l’altra in formato decrescente fino a comporre una torta nuziale. Rocca di Montébore è un piccolo borgo della Val Curone, sullo spartiacque tra le valli del Grue e del Borbera.
Un angolo del Tortonese nel territorio piemontese che confina a sud con la Liguria e a est con la Lombardia. La fama del luogo è legata a questa formaggetta di latte vaccino e ovino dalla storia antichissima, conosciuta ormai in tutto il mondo.
Già nel XII secolo un ricco tortonese ne mandava ben cinquanta pezzi in dono a un alto prelato per perorare la promozione del fratello prete. E alla fine del Quattrocento è l’unico formaggio presente nel menù delle sfarzose nozze tra Isabella di Aragona, figlia di Alfonso, e Gian Galeazzo Sforza, figlio del Duca di Milano. La crosta inizialmente è liscia e umida e poi, con la stagionatura, diventa più asciutta e rugosa. Il colore va dal bianco al giallo paglierino. La pasta è liscia o leggermente occhiata, di colore bianco in varie sfumature. Anche questo formaggio si fa con latte crudo: per il 75% vaccino e per il restante 25% ovino. La stagionatura va da una settimana a due mesi. In bocca, all’inizio della degustazione, è tendenzialmente latteo e burroso, mentre nel finale si sente la castagna accompagnata da sfumature erbacee. Il Montébore può essere gustato fresco, semistagionato (quindici giorni) o stagionato.
La Valsesia, in provincia di Vercelli, è incastonata tra il lago d’Orta e il monte Rosa. Qui nasce il macagn, formaggio più piccolo di una classica toma piemontese, prodotto con latte vaccino intero e crudo. La sua particolarità più importante è la produzione a ogni mungitura, metodo probabilmente nato dalle esigenze di sfruttare la naturale temperatura del latte appena munto (37°C). Emanuela Ceruti, assieme al marito Livio Garbaccio, è uno dei pochi produttori che continuano a salire in alpeggio con il proprio bestiame.
Nella stalla di Emanuela, le vacche sporgono la testa per farsi accarezzare o leccarsi il muso a vicenda. Anche senza troppe conoscenze tecniche, si direbbero animali sul cui benessere è difficile dubitare. «Vorremmo tenerle sempre in alpeggio, non escludiamo di poterlo fare in futuro», dice Manuela. «Mia suocera rimane in alpeggio anche d’inverno, sola con le capre, e non ha nessuna intenzione di scendere».
Come leggiamo sul sito dedicato al Macagn, al momento iniziale della fabbricazione (formatura in fascera) viene impresso, su un lato di ogni forma, un marchio che identifica il prodotto (logo del Macagn), la tipologia: estiva (A di alpe) od invernale (C di cascina) ed il produttore (codice binario a 4 cifre). Il Macagn è un prodotto magnifico: ottimo così com’è ma anche nei risotti, in una fonduta, nella polenta concia.
Gianpaolo Usai è Educatore Alimentare. Tratta di queste e altre tematiche per il blog de L’Alveare che dice Sì e per Cibo Serio.
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Faccio la spesa in una piccola Coop di Argenta di Ferrara, dove abito. Mi copiero’ la lista dei formaggi per vedere se ne trovo almeno uno. Grazie per gli articoli, li leggo molto volentieri. Cordiali saluti
Grazie a te Anna Maria, facci sapere se riesci ad assaggiarli!