Vivere senza supermercato… ma chi me lo fa fare?!
L’avrete pensato in molti. Comodi, economici, super organizzati, i centri commerciali offrono tutto e a poco. In apparenza. Perché nella pratica il costo della maggior parte dei prodotti commerciali è altissimo: sfruttamento, inquinamento, danni alla salute dei consumatori, iniquità e ingiustizie. Tanti motivi (più uno) per dire addio alla grande distribuzione organizzata.
Vivere senza supermercato significa risparmiare guadagnando in qualità. Come? Comprando meno e meglio. Quante volte siete entrati in un centro commerciale pensando “mi servono solo un paio di cose” e ne siete usciti con la busta piena e 50 euro in meno in tasca? Ecco, appunto.
Si tratta dei cosiddetti bisogni indotti, quelli non necessari ma comunque percepiti come indispensabili da consumatori tartassati da assillanti campagne pubblicitarie e ingegnose azioni di marketing. Fior fiore di studiosi ed esperti lavorano a questo: a convincerci dell’utilità di prodotti inutili. Una volta detto addio alla grande distribuzione ci si scorda in fretta di tutto ciò, diminuiscono i bisogni, calano le spese e ci guadagna il portafoglio. Anche perché vivere senza supermercato significa comprare spesso sfuso e locale. Tenendo conto che imballaggi, chilometraggi, magazzinaggio, stoccaggio e packaging pesano dal 35% al 45% sul prezzo finale di un prodotto venduto dalla grande distribuzione organizzata, ecco un altro bel risparmio.
E non solo per le tasche…
Vivere senza supermercato significa risparmiare anche tempo. Impossibile? Al contrario! Addio code alla cassa, ricerca del parcheggio, percorso a ostacoli tra le corsie, sabati pomeriggio passati al centro commerciale. Per fare la spesa tramite Gruppo d’Acquisto Solidale o L’Alveare che dice Sì bastano pochi minuti: si compila l’ordine online (comodamente dal divano di casa) e poi si va a ritirare la busta il giorno della consegna.
La si trova già pronta e con il proprio nome esposto. Nessuna perdita di tempo! A meno che non si voglia fermarsi a fare quattro chiacchiere con i compagni del gruppo o con qualche produttore dell’Alveare, così da trasformare la spesa in uno dei momenti più piacevoli della settimana.
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Vivere senza supermercato significa ridurre sprechi, rifiuti e inquinamento. Pensate, secondo uno studio recentemente pubblicato dall’Ispra i sistemi alimentari locali, biologici e solidali riducono lo spreco di risorse di 8 volte rispetto alle imprese agricole di grandi dimensioni. Ma non solo.
Vivere senza supermercato vuol dire anche ridurre di tantissimo l’utilizzo di plastica (una delle piaghe ambientali più gravi) e boicottare una delle principali fonti di inquinamento al mondo: l’agricoltura intensiva.
Secondo un rapporto di Greenpeace l’agricoltura nei prossimi decenni produrrà il 52% delle emissioni globali di gas serra, il 70% delle quali proviene dal settore carne e prodotti lattiero-caseari. Ma già oggi l’aria, le falde acquifere e i terreni dove vi sono allevamenti e produzioni intensive presentano numeri drammatici in termini di inquinamento, infertilità del suolo e perdita di biodiversità.
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Vivere senza supermercato significa rinunciare alle marche e ai prodotti che non rispettano l’ambiente, i lavoratori e i consumatori.
Scegliere una filiera corta e solidale vuol dire innanzitutto scegliere con consapevolezza a chi dare i nostri soldi: chi incentivare e chi boicottare. Vista così la spesa diventa un gesto estremamente politico e la scelta di cosa mettere nel carrello diviene senza dubbio una questione etica.
Per dire: l’82% dei bambini che muoiono di fame vive in paesi dove il cibo c’è ma viene dato agli animali d’allevamento che poi vanno a sfamare un risicato 20% della popolazione mondiale.
Si tratta di oltre 3 milioni di bimbi che ogni anno pagano con la vita il prezzo altissimo dei consumi degli occidentali.
Ma non serve andare dall’altra parte del mondo per trovare del marcio in questo sistema: basta dare un’occhiata al reparto dell’ortofrutta del supermercato e informarsi sull’origine di quei prodotti per scoprire che spesso dietro vi si celano abusi, speculazioni, caporalato e agro-mafia. Ormai sempre più inchieste documentano il perverso meccanismo del sottocosto della Gdo: un sistema malato che mette in ginocchio i produttori e incentiva lo sfruttamento dei lavoratori.
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Vivere senza supermercato significa privilegiare le materie prime, il biologico (anche se non certificato), i cibi di stagione, le cose semplici e genuine. Niente conservanti, additivi, perturbanti endocrini, prodotti industriali ricchi di zuccheri, grassi e sale. Si riacquistano i sapori veri, quelli di una volta, e si riscopre il piacere di cucinare e la meraviglia di tornare a fare: autproduzione significa autosufficienza, indipendenza, libertà e conoscenza. Senza dubbio la più piccola ma grande rivoluzione, per cui corpo e mente ringrazieranno parecchio.
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Alla fine vivere senza supermercato significa vivere più felici: risparmiare soldi, mangiare meglio, guadagnare tempo e, soprattutto, entrare a far parte di una comunità.
In una società basata sul consumismo e sull’individualismo, ristabilire legami tra le persone, far parte di gruppi d’acquisto solidale, incontrare i produttori, conoscersi direttamente e costruire rapporti di fiducia, ricominciare a fare e a scambiare cose e conoscenze, è davvero la più grande soddisfazione.
Elena Tioli nel 2017 ha pubblicato il libro Vivere senza supermercato (Terra Nuova edizioni) in cui racconta la sua avventura fuori dalla grande distribuzione organizzata.
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