Il miele è come la mamma: a volte la trascuriamo, ma quando stiamo male è la prima a cui va il nostro pensiero. Unico amore e potente cura contro ogni dolore.
Il rapporto dei più con il miele va così: un colpo di tosse e tutti giù a comprarne barattoli e barattoli, e al primo cucchiaino sciolto nel tè ci si ricorda di quanto sia buono, confortevole e rassicurante.
L’associazione miele=salute è quasi automatica, sarete d’accordo. Ma l’equivalenza è sempre valida, o esistono delle eccezioni?
Noi qui, come al solito, per sbrogliare la matassa ci affidiamo ai produttori: oggi ci aiuta Andrea, della Agriapistica Bio Mielinfiore, un giovane brillante che ha rinunciato a una carriera da architetto per produrre miele certificato biologico nella zona dei Castelli Romani, dove il clima è mite e la vegetazione è rigogliosa: una manna per le api. E per i nostri Alveari che beneficiano del loro miele.
Questa è la tipica domanda da detrattori del biologico. Nell’apicoltura si obietta che il vero miele biologico non esiste perché “non sai mai dove va l’ape”. Il miele biologico invece esiste eccome. Innanzitutto perché l’apicoltore sa bene dove vanno le sue api.
L’ape nel suo ciclo vitale, che è di una quarantina di giorni, fa il giro del mondo in termini di chilometri, ma in quanto a distanza non si allontana, in media, di più di tre chilometri dall’arnia.
E se l’arnia si trova in un parco naturale, anziché sul ciglio di un’autostrada, il dado è tratto.
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Oltretutto, l’ubicazione dell’arnia incide sulla definizione di biologico in ragione del 20%. Il resto lo fanno i trattamenti e il cibo. Alle api in regime biologico non viene somministrato alcun trattamento. Né antibiotici né altri medicinali. E per quanto riguarda la nutrizione, noi diamo da mangiare alle api il loro miele, invece di sciroppi o glucosio, come spesso avviene nell’apicoltura tradizionale.
Se da regime di apicoltura tradizionale si vuole passare al biologico, bisogna rimanere in periodo di conversione per 3 anni. Una delle prime cose da fare è disfarsi della cera, che è una spugna rispetto agli inquinanti, e procurarsi della cera biologica. Se l’arnia è vicino ad un’autostrada, infatti (dove si trovano tanti alberi di acacia, ndr) la cera assorbirà tutti gli inquinanti, e li tratterrà per un tempo indefinito.
Nel biologico la regina si “autoseleziona”. Cosa vuol dire? Che solo le regine forti sopravvivono. Gli animali funzionano come gli uomini: se li imbottisci di antibiotici, le loro difese immunitarie si abbassano. Se invece non le tratti, solo le più forti vanno avanti, seguendo le leggi della natura. E se evitiamo di pompare acqua e zucchero nelle arnie avremo una minore produzione di miele, ma la qualità sarà ottima e la naturalità garantita.
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Nel 2017 la produzione è diminuita del 75% rispetto all’anno precedente. In parte è stata colpa del clima: le gelate primaverili e poi la siccità che ha fatto seccare i fiori, insieme agli incendi estivi, hanno ucciso milioni di api. A questo si somma però la morìa che da diversi anni continua senza sosta, e che non ha più niente di eccezionale, purtroppo.
Questa ha a che fare sia con la Varroa, un acaro letale per le api europee, che con l’uso massivo dei pesticidi in agricoltura.
Inoltre se l’ape sciama su un campo di grano trattato con glifosati si disorienta, si perde, non ritrova più la strada di casa. Ed essendo un animale che vive in società, se non rientra nell’arnia muore.
Che sia chiaro, il glifosato non contamina le api: le uccide, senza mezzi termini. In questo senso la proroga all’utilizzo dei glifosati in agricoltura che l’Europa ha recentemente approvato è un vero dramma per noi apicoltori.
Il biologico è uno strumento a disposizione del consumatore, anche se non è l’unico.
L’azienda di un produttore biologico è controllata in ogni fase della produzione, fino ad arrivare ai chilogrammi di miele prodotti annualmente (ragion per cui se produci in regime biologico non ha nessun senso vendere in nero).
Ovviamente non si possono utilizzare fertilizzanti, pesticidi e prodotti chimici di sintesi.
La mia azienda ha una certificazione che è come una “targa”: andando sul sito dell’ente certificatore e inserendo il mio numero di certificazione, il consumatore ha la possibilità di reperire tutte le informazioni sul mio lavoro.
Un aspetto che però è stranamente nebuloso per quanto riguarda le linee bio dei supermercati. Se ci fate caso, sull’etichetta del miele X linea bio del supermercato Y, appare una certificazione che è la stessa della marmellata Z e delle gallette G, sempre della stessa linea bio del supermercato Y.
La certificazione sembra essere stata quindi ottenuta dal supermercato, non dal produttore.
Un buco nero nella filiera, in pratica.
Morale della favola: fidarsi è bene, ma conoscere il produttore è meglio!
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Quella sui fiori gialli della seconda foto dell’articolo non e’ Apis mellifera..!