Viva i contadini custodi, protettori della biodiversità!

Sapevate che nelle Isole Svalbard, a mille chilometri dal Polo Nord, esiste un bunker nel ghiaccio che è il più grande deposito di semi del mondo? In pratica è una rete di sicurezza contro la perdita botanica accidentale del patrimonio genetico tradizionale delle sementi, cioè della biodiversità.
 

Biodiversità
/bi·o·di·ver·si·tà/ s.f. Differenziazione biologica tra gli individui di una stessa specie, in relazione alle condizioni ambientali.

 

Tutelare la biodiversità garantisce la sopravvivenza della vita sulla Terra. Senza arrivare fino al Polo Nord, anche Piemonte e Provenza hanno fatto rete per mettere l’accento sulla necessità di proteggere la biodiversità.
Il progetto Bioeurope – una rete per le diversità transfrontaliere ha messo infatti in rete agricoltori di queste due regioni per creare una vera e propria rete delle biodiversità transfrontaliere, patrimonio dell’agricoltura orticola tradizionale tra Italia e Francia affidato agli “agricoltori custodi” che hanno preservato nel tempo l’originalità delle produzioni locali.

Ma cosa fanno, in pratica, questi nostri paladini della biodiversità?

Abbiamo chiesto a Giuseppe, titolare dell’azienda agricola Ortòbio a Trofarello (TO), di spiegarci cosa significa, in pratica, diventare “Contadino Custode”.

Chi sono i Contadini Custodi?

I contadini custodi sono dei contadini che hanno preso l’impegno di coltivare, proteggere e promuovere il consumo delle varietà agricole locali provenienti da semi antichi.

Ci incarichiamo della salvaguardia della specie locale dal rischio di estinzione. Vogliamo promuovere la produzione e la diffusione del prodotto per diffonderne il consumo e sostenere lo scambio di informazione e di materiale tra gli agricoltori italiani e d’oltralpe. Fino a poco tempo fa qui c’era il Crab, un ente che ha creato le schede dei vari prodotti e aiutato i produttori a fare rete.

Ora il Crab non c’è più, ma i contadini custodi ci sono ancora! Continuiamo la nostra opera di Contadini Custodi a titolo personale, perché ci teniamo a portare avanti un progetto di educazione alla biodiversità.

Ci dici alcune delle specie che state custodendo?

Il Ravanello lungo, il Pisello di Casalborgone, il Pomodoro Kaki (giallo, grosso, molto dolce e succoso, quasi prende il nome dal frutto a cui assomiglia).

Io sono da anni custode del Cavolfiore di Moncalieri, e da quest’anno anche del Peperone di Montagna.

Il Cavolfiore di Moncalieri

L’origine è nel nome, ovviamente. A differenza del cavolfiore “palla di neve”, il più diffuso nella GDO, il Cavolfiore di Moncalieri è di colore giallino, e non piace molto ai supermercati.

Per alcuni, poi, non fa una gran figura neanche sui banchi del mercato, meno bianco e lucido dell’altro. Eppure è buono, sano e nutriente. A differenza del cavolfiore “comune”, il Cavolfiore di Moncalieri è più gradevole ed è più compatto: fatto bollito o al vapore non si disfa, e oltre alla polpa, sono buone da mangiare anche le foglie verdi tenere e piccole che lo avvolgono e lo proteggono dal freddo piemontese. Una vera delizia!

Perché – come ci tiene a ribadire Giuseppe – non basta che sia una varietà antica, non basta che sia particolare, e nemmeno che sia a km0… L’importante è che sia buono. In più, ci dice con una bella luce negli occhi, lo coltivava già mio nonno. Qui il Cavolfiore di Moncalieri si coltivava molto, un tempo, poi negli anni ‘90 si era un po’ perso. Noi abbiamo recuperato i semi, lavorato tanto sul recupero, adesso i semi li produciamo noi, e se capita li condividiamo anche – e quindi custodire il Cavolfiore di Moncalieri è diventata pure una questione affettiva.

Quando trova il cavolfiore più bello Giuseppe non lo raccoglie ma aspetta, poi quando è tempo lo tira via con un po’ di radice, lo mette a dimora al riparo e quando fiorisce, la primavera successiva, prende i semi e via così.
Un sacco di pazienza, come in ogni buona storia d’amore.

 Il peperone di montagna

Che Giuseppe sia lontano dai luoghi comuni si evince dai prodotti che custodisce: forse non avrete nemmeno mai visto un peperone di montagna, e non sapete cosa vi perdete!
Sul sito bioeurope leggiamo che si tratta di Un ortaggio d’alta quota, davvero insolito, che non teme il rigore del clima alpino. Il Peperone di Montagna viene coltivato in due sole località della provincia di Torino: nella fascia prealpina di Roletto, non lontano da Pinerolo all’imbocco della val Chisone, e nel cuore dell’alta valle di Susa, ad Exilles. E ora anche a Trofarello.

Ma come è andata? Allora, i nostri contadini custodi si scambiano i semi, Giuseppe ha dato i semi del Cavolfiore di Moncalieri ad altri, e altri hanno dato i loro semi custoditi a lui: tra tutti lo ha colpito, per gusto e consistenza, questo peperone – conico, piccolo, dolcissimo e molto croccante: è stato amore a prima vista, anzi, a primo assaggio!
Il primo anno ne ha coltivato pochi, poi ha recuperato i semi e ha continuato e incrementato la produzione, dato che anche i suoi clienti ne sono rimasti entusiasti.
Essere custodi significa per me dare un senso all’essere contadino, dà più valore al lavoro che faccio.

Cosa possiamo fare noi per aiutare i Contadini Custodi?

Beh, dovete semplicemente mangiare questi prodotti! L’opinione pubblica è infatti sempre più sensibile alla biodiversità, ma tra il dire e il fare c’è sempre un bel passo.

 

Noi il passo lo faremo di certo… e voi?

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Riguardo a

Simona Cannataro

Calabrese trapiantata a Torino, studia e lavora nella comunicazione fino a quando la passione per il cibo buono non la porta dritta all’Alveare che dice Sì! Quando non si occupa di postare sui social e scrivere sul blog, viaggia in Vespa alla ricerca di nuovi posti dove andare a mangiare.

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