Agroecologia? Ma che sarà mai?
Qui noi si discuteva (animatamente, c’è da dire) di convenzionale vs biologico, quando improvvisamente in Alveare arriva Luca e ci parla di agroecologia. E ci spiazza tutti.
Già. Perché in un’epoca in cui solo i più attenti stanno iniziando a domandarsi che fine farà la biodiversità, una luce in fondo al tunnel ce la fanno intravedere alcuni agricoltori che ancora resistono. E che, in barba alle logiche di mercato, continuano a credere che fare agricoltura sia un mestiere importante come quello di un dottore e nobile come quello di un poeta.
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È il caso di Luca Pininfarina, giovane titolare dell’azienda Pininagri, che coltiva ortaggi a Moncalieri. Nella descrizione della sua azienda troviamo delle parole bellissime: Pininagri per coltivare usa pratiche lungimiranti. Pratiche lungimiranti. Sentite anche voi la musica, in queste parole?
Poesia a parte, abbiamo bisogno di sapere. E quindi abbiamo fatto a Luca qualche domanda sull’agroecologia.
Il termine agroecologia ha diversi significati. Può essere inteso in senso lato, come insieme di idee su un’impostazione più sostenibile del sistema agricolo, che implica un certo numero di categorie produttive; oppure in senso stretto, come studio di fenomeni ecologici all’interno del campo coltivato.
In ogni caso, la visione centrale dell’agroecologia è quella del campo coltivato come ecosistema, in cui avvengono i medesimi processi biologici presenti in altre associazioni vegetali (ciclo degli elementi nutritivi, interazioni predatore/preda, competizione, commensalismo e successioni). Mediante la comprensione di tali processi e relazioni è possibile manipolare gli agroecosistemi per ottenere un processo produttivo più sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico.
I primi passi nello sviluppo dell’agroecologia li dobbiamo a Karl Henry William Klages che pubblicò interessanti lavori a proposito della distribuzione delle colture in base a principi fisiologici, agronomici, storici, tecnologici e socioeconomici.
Fu però Papadakis ad evidenziare come la scelta delle colture dovrebbe essere legata alla risposta delle stesse all’ambiente.
In opposizione ad un’agricoltura gestita a compartimenti stagni, l’italiano Girolamo Azzi sottolinea come diverse discipline distinte quali la meteorologia, la pedologia e l’entomologia convergono in una scienza agroecologica quando si cerca di chiarire la relazione fra le piante e l’ambiente.
A proposito di entomologia, sono proprio gli entomologi che hanno avuto un ruolo decisivo nello sviluppo di una prospettiva ecologica nella protezione delle piante. Degno di nota è Giorgio Celli che interessandosi ai metodi di contenimento biologico delle popolazioni di insetti nocivi è arrivato a creare un centro, unico in Italia, nel quale vengono prodotti insetti utili per la lotta biologica ai fitofagi.
Grazie a lui la lotta biologica è diventata sempre più importante e adottata in sostituzione totale o parziale degli insetticidi di sintesi usati in agricoltura.
La differenza è una sola ed è sostanziale. L’agroecologia è una disciplina, una scienza, che si occupa dell’ecologia nel campo agrario e di come questa può essere, non distrutta o eradicata, ma manipolata a nostro favore. L’agricoltura biologica è un tipo di agricoltura che è nata con l’intento di seguire totalmente i dettami dell’agroecologia, al fine di raggiungere un processo produttivo più sostenibile.
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Assolutamente no, è antieconomico fare il contrario. Tant’è vero che oggigiorno tutte le facoltà di agraria più all’avanguardia hanno una forte impronta agroecologica. Ma non è stato sempre così.
Negli anni del dopoguerra, la rivoluzione verde ha portato concimi e prodotti chimici a prezzi accessibili per tutti gli agricoltori. Questa è stata una svolta per l’agricoltura, che fino a quel momento era sostanzialmente familiare. Tale cambiamento è legato prevalentemente al:
La produzione era concentrata sulla quantità: bisognava produrre grossi quantitativi a bassi costi. I grossi quantitativi sono stati raggiunti, ma i bassi costi molto meno.
Questo lo dobbiamo all’utilizzo veramente importante di input esterni, soprattutto per quanto riguarda agrofarmaci e fertilizzanti, e all’aumento dei costi di questi due. La sostenibilità era assicurata più che altro dalla questione dei quantitativi e non tanto dai costi di produzione che erano decisamente importanti.
Alla fine anni 70, se fossero state fatte delle analisi, avrebbero scoperto che i suoli avevano un quantitativo di sostanza organica pari a zero: si era degradata completamente la fertilità del suolo.
Negli anni 80 i rendimenti iniziavano ad abbassarsi. Sempre maggiori erano gli input esterni che dovevano essere messi in gioco per mantenere dei livelli di quantità elevati, i quali erano gli unici possibili per una sostenibilità di tipo economico. Inoltre, ci si trovava nei primi anni in cui iniziavano ad esserci dei consumatori un po’ più critici sui prodotti agricoli.
Sempre in questo periodo nasce l’idea dell’agricoltura integrata, un percorso che ha permesso di ridurre fortemente gli input della chimica di sintesi sul prodotto e quindi di cambiare gli approcci e le molecole utilizzate. Si sono poste le basi per discutere sul tema qualità. Si cominciava a dare importanza al punto di vista qualitativo, non erano importanti solo le grandi quantità, ma anche il prodotto buono.
Dagli anni 90 in poi si sviluppano altri tipi/modelli alternativi di agricoltura come l’agricoltura biologica e biodinamica.
Oggi, nelle aree frutticole più importanti a livello italiano, abbiamo circa il 90% dei frutteti che sono gestiti con la frutticoltura integrata. Nella difesa non esistono più solo limitati trattamenti a calendario, ma vengono considerate le soglie di attacco dei vari parassiti.
Il ragionamento nella gestione del suolo è funzione di quelli che sono i quantitativi di elementi che sono presenti nel suolo stesso, gli esporti delle piante e la tipologia di piante presenti. È cambiata l’idea dell’agricoltura ma ci sono ancora margini di miglioramento notevoli.
Per quanto riguarda l’agricoltura biologica c’è molta discussione sul fatto che oggi sia effettivamente migliorativa da un punto di vista degli aspetti di tipo ambientale. Quella che oggi è l’agricoltura biologica certificata con la certificazione da enti terzi molto spesso è un’applicazione di norme asettica che ha perso un po’ l’approccio dei primi biologici sul tema delle varietà e dei sistemi di coltivazione. Basti pensare a tutti i prodotti ammessi nell’agricoltura biologica (poiché di origine naturale) che sono ad ampio spettro e non compatibili con un programma di lotta biologica integrata (ad es. oli minerali ed alcuni composti organici di origine naturale e vegetale); e quelli derivati da fonti non rinnovabili (ad es. gli oli minerali, derivati dal petrolio).
Possiamo definirlo come un biologico di sostituzione, che sostituisce il prodotto chimico di sintesi con il prodotto chimico di origine naturale, senza lotta biologica, rotazioni, sovesci ecc. Al contrario, la conservazione di nemici naturali, attraverso l’utilizzo giudizioso di fitofarmaci con meccanismi d’azione selettivi e pratiche colturali favorevoli, può dare un controllo degli insetti a lungo termine.
Oggi questi produttori si definiscono legati ai movimenti dell’agroecologia che hanno una visione olistica dell’azienda agricola con sistemi più sostenibili dal punto di vista sociale, ambientale ed economico. In ogni caso, questa piccola fetta di produttori biologici o è certificata come gli altri (perché per ora non esiste una certificazione alternativa) o ha deciso di non certificarsi (in contrapposizione a quelli che fanno biologico solo per vendere) e sono presenti nei vari circuiti di vendita diretta aderendo ad una serie di network alternativi a livello italiano o europeo che vogliono evidenziare una diversità.
Rimane il fatto che, nel complesso, la manipolazione degli ecosistemi a nostro favore, senza distruggere ed eradicare, è un’azione che risulta fondamentale per un futuro sostenibile, tenendo conto del costante aumento della popolazione mondiale, dell’elevata domanda di cibo sano e sicuro, delle limitate risorse non rinnovabili, dell’intensificarsi degli scambi globali con i conseguenti effetti disastrosi delle specie invasive, del depauperamento dei terreni agricoli, dell’inquinamento delle acque e dei limiti dei prodotti ampio spettro concernenti lo sviluppo di resistenze e la potenziale distruzione degli ecosistemi e della biodiversità utile.
Ora, per tornare alla domanda, il successo a livello economico (oltre che ambientale) della manipolazione degli agroecosistemi secondo i dettami dell’agroecologia è dimostrabile su tutti i versanti:
Prodotti di origine naturale, organismi utili per il controllo biologico e piante resistenti sono state sviluppati/e e impiegati/e per la maggior parte della storia della difesa delle colture. Con l’avvento dei prodotti chimici di sintesi l’enfasi nella ricerca e nelle pratiche si è allontanata, per un certo periodo, dalle strategie di controllo biologico. Tuttavia, gli sviluppi più contemporanei delle conoscenze scientifiche, accoppiati alla lunga esperienza del passato, hanno fornito delle basi solide per rinnovare gli sforzi nell’identificazione di pratiche appropriate per la difesa delle colture.
In particolare, è la lotta biologica ad essere un metodo lungimirante che, se applicato correttamente sulla base di estese ed approfondite conoscenze dell’agrosistema, dei principi ecologici e di ciclo vitale e biologico degli organismi ausiliari e bersaglio, permette di raggiungere risultati auspicabili nel lungo termine. Alcuni esempi di successi economico-ambientali già ottenuti a livello di difesa delle colture sono:
Come ci ha insegnato la storia, è innegabile l’importanza di buone pratiche nella gestione del suolo per mantenere la produttività nel lungo termine in modo sostenibile. Con buone pratiche si intende, oltre alla gestione mirata degli input, l’impiego di rotazioni, consociazioni, sovesci, letamazioni e concimazioni con compost.
Al contrario, il ricorso all’utilizzo massiccio di fertilizzanti chimici ci sta portando verso un problema ambientale finora senza precedenti: la crisi del fosforo. Con la concimazione chimica solo il 15% del fosforo distribuito viene assorbito dalla pianta mentre l’85% è inaccessibile ed insolubile e va perduto, terminando il suo viaggio nelle acque.
L’eccessivo accumulo di nutrienti nelle acque (in particolare fosforo e azoto) determina il fenomeno dell’eutrofizzazione e favorisce l’abbondante crescita di cianobatteri, micro e macro-alghe. In particolare, i cianobatteri producono cianotossine, tossiche per la flora e la fauna limitrofe e per l’uomo. Si tratta quindi di un disastro ambientale oltre che di uno spreco di un elemento essenziale e indispensabile alla vita che non può essere sostituito.
In futuro ci troveremo a fronteggiare la necessità di produrre più cibo (per l’aumento della popolazione mondiale) con meno fosforo (per l’esaurimento delle riserve mondiali di fosforo). Ma esiste una soluzione: ottimizzare l’assorbimento del fosforo con le micorrize. Con micorriza si intende la simbiosi tra le radici ed un fungo microscopico. Questa permette alla pianta di assorbire il 90% del fosforo e di non sfruttarne quantità esigue, cosa totalmente naturale.
Oggigiorno sono in aumento le biofabbriche che producono questi microrganismi utili. In particolare CCS Aosta è produttore leader in Europa di fertilizzanti a base di micorrize e batteri della rizosfera. L’impiego di questi consorzi microbici, abbinato alle precedenti buone pratiche, può dare risultati eccezionali, facendo esprimere al massimo le potenzialità intrinseche delle colture in termini di resistenza, resa, gusto e qualità nutraceutiche.
Si può concludere che il mito del biologico antieconomico è un mito da sfatare. Se intendiamo il biologico nel vero senso della parola, non c’è nulla che abbia il potenziale di rendere il futuro dell’agricoltura sostenibile a livello economico-ambientale come il biologico. Perché ciò che è biologico può ambientarsi, riprodursi e stabilizzarsi in equilibrio dando risultati eccezionali senza la necessità di ulteriori ed insostenibili input.
Per trovare la sostenibilità economico-ambientale dobbiamo tornare alle basi e recuperare il rispetto per i nostri ecosistemi naturali, perché in essi risiedono tutte le risposte di cui abbiamo bisogno. Dobbiamo pensare in modo intelligente e lavorare in collaborazione con la natura.
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