Il pesce povero si è meritato questo appellativo non perché non sia ricco di proprietà (anzi). L’origine di questo termine è dovuta al fatto che i pescatori andavano in giro a rivendere le rimanenze del mercato nei rioni delle città di mare, per sbarazzarsi di quei pesci che non erano riusciti a vendere durante il mercato. Casse intere di aguglie, sugarelli, alici, canocchie: pesce povero che non voleva nessuno.
Ma per quale motivo?
Per meri motivi di convenienza. Ci sono pesci magri, strutturati, con carni stabili, che vengono considerati “pesce principe”. Li compri, li tieni in frigo anche due, tre giorni, resistono, non ti costringono a cotture immediate. La sogliola è un pesce principe, la spigola, il rombo e il san pietro pure. Non sono necessariamente più buoni, ma sicuramente più facili da gestire.
E poi ci sono i pesci “proletari”, il pesce povero appunto: sgombri e alici su tutti, e poi sardine, mormore, alacce, aguglie, saraghi. Per il bravo cuoco l’alice vale quanto la spigola. Il pesce povero in cucina richiede però un’attenzione maggiore: la sua grande caratteristica, ovvero i grassi miracolosi che fanno godere il palato e intanto ci allungano la vita (gli Omega-3), sono i primi a ossidarsi, cioè a deteriorarsi.
È pesce povero perché più fragile, non si conserva molto, lo compri e lo devi mangiare subito, altrimenti rischi di perderlo. Ma appare evidente come questi pesci non siano affatto poveri se parliamo da un punto di vista nutrizionale e di salute. Anzi. Inoltre, sardine, alici, sgombri ecc. sono tutte specie di pesce azzurro, ed è risaputo come il pesce azzurro sia tra i pesci più ricchi di sostanze benefiche per la nostra salute come appunto gli Omega-3 e la vitamina D, una vitamina che si concentra nello specifico proprio nel grasso dell’olio di pesce.
Sostanzialmente è una questione di scarsa consapevolezza. Immaginate di stare al mercato del pesce, circondati dal brusìo della gente e dalle urla dei pescivendoli. Di fronte a voi avete un banco colmo di prodotti freschi: orate, pesce spada, polpi, tonni e branzini. In basso, invece, cassette con moscardini, canocchie, seppie e totani.
Vi state già leccando i baffi, ma quando vi sentite chiedere: “Desidera?” vi ricordate di avere pochi denari in tasca e già pensate di battere in ritirata o di acquistare al massimo un paio di orate e branzini, come sempre. Ecco, se vi capita di vivere una situazione di questo tipo non scegliete sempre i soliti due tipi di pesce.
Avete un amico prezioso: il pesce povero, pronto a immolarsi nelle pentole o se preferite sulla griglia della vostra cucina.
Abituiamoci a pensare che il pesce povero è un’eccellenza dei nostri mari italiani: infatti regioni come la Puglia spingono da anni per un suo maggiore consumo con campagne di sensibilizzazione dei consumatori.
Scegliere pesci meno conosciuti ma altrettanto saporiti rispetto a tonno, salmone o pesce spada, allevia la pressione di pesca su queste specie più ricercate e garantisce il mantenimento della biodiversità di tutte le specie ittiche dei nostri mari, permettendo alle specie troppo sfruttate dalla pesca di riprodursi più facilmente. Per questo i pesci poveri sono “a basso impatto ambientale”. Inoltre, essendo ritenuti di minore valore commerciale, sono meno cari e permettono di risparmiare. Ma un altro beneficio del consumare pesce povero consiste nel fruire di un pescato stagionale locale che in pratica elimina i costi di importazione.
L’Oscar fra tutte le scelte possibili di pesce povero, almeno per quanto concerne il gusto e il sapore, va allo sgombro, senza se e senza ma. Deve essere di giornata, freschissimo. È molto, molto buono, e anche molto grasso, quindi guai a dimenticarlo un giorno in frigo, prende subito un brutto odore.
I suoi grassi non devono spaventarci, sono tutti grassi buoni come accennavamo prima, i famosi Omega-3 che fanno bene a corpo e cervello. Inoltre è facilissimo da preparare. Ad esempio con una bollitura breve in court-bouillon fatta con acqua non salata, una fetta di limone, cipolla e prezzemolo. Poi lo si fredda e si spina. Lo si adagia infine in una pirofila con una conditella di pomodoro spellato a dadini, uno spicchio d’aglio, capperi, un’alice salata, olio buono, aceto e pochissimo sale. Ed ecco una panzanella di sgombro. La mangiate così o la mettete su una bella fetta di pane buono, ben tostato. Diventa irresistibile! Oppure con una salsina di maionese e senape, allungata con latte di mandorla o di cocco non zuccherati e prezzemolo fresco.
Ma è ottimo anche con una salsa tzatziki e crostini di pane.
Aguglia, alaccia, alalunga, alice, alletterato, boga, cefalo, cicerello, costardella, fasolaro, lampuga, lanzardo, leccia, merluzzetto, moscardino, muggine, occhiata, pagello, palamita, patella, pesce castagna, pesce sciabola, pesce serra, potassolo (o melù), sardina, sciabola, sgombro, spratto, suacia (o zanchetta), sugarello, tombarello (o biso), zerro.
Gianpaolo Usai è Educatore Alimentare. Tratta di queste e altre tematiche per il blog de L’Alveare che dice Sì e per Cibo Serio.
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Si potrebbero pubblicare un po’ di ricette con i “pesci poveri” ?
Ciao Enrico, arrivano a breve 🙂