Prodotti contraffatti in Italia: Un nuovo, vecchio, problema

“Ogni mattina in Africa, una gazzella si sveglia, sa che deve correre più in fretta del leone o verrà uccisa. Ogni mattina in Campania, un produttore di mozzarelle di Bufala si sveglia e sa che da qualche parte il suo prodotto sarà contraffatto.
Non importa che tu sia Gazzella o Produttore di Mozzarelle di Bufala, da qualche parte, qualcuno, sta cercando di fartela vedere brutta.”

I prodotti alimentari Italiani sono di gran lunga quelli più apprezzati in tutto il mondo, proprio per questo non è raro trovare viaggiando prodotti italiani contraffatti.
In generale gli alimentari contraffatti viaggiano attraverso due canali: il mercato clandestino e quello commerciale.
Secondo i dati Coldiretti, il fenomeno è in costante crescita e nel 2014 ha superato il fatturato di 60 miliardi di euro.

L’Italian Sounding

L’Italian Sounding è l’utilizzo di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evocano l’Italia per promozionare e commercializzare prodotti affatto riconducibili al nostro Paese: Parmesao, Prisecco, Ma-Ma-Mia , sono solo alcuni esempi di come si utilizza un nome vagamente italiano, magari anche accompagnato dal tricolore sulla confezione, per identificare prodotti che italiani non sono.

I prodotti di imitazione italiana sono sempre più richiesti nei paesi esteri, così è facile trovare del Prosecco Made in Crimea se si viaggia verso la Russia.
Il giro d’affari di questo fenomeno è stimato a circa 54 miliardi di euro l’anno contro i 23 miliardi di euro di esportazione Italiana, vuol dire che in commercio circa 2 prodotti italiani su 3 che si possono trovare all’estero sono contraffatti e costano al nostro paese circa 300 milioni di posti di lavoro, come dice Il Sole 24 Ore.

 

Le soluzioni ci sono?

L’eccellenza italiana merita di essere tutelata, proprio per questo è da pochi mesi in atto il Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy .
A leggerlo è un piano stranamente positivo ed interessante, con l’obiettivo di sestuplicare il fatturato del vero Made in Italy e cospicui investimenti in campagne all’estero ed in Italia, aiuti alle PMI , potenziamento della presenza nei grandi eventi, promozioni nella GDO estera di prodotti made in italy ecc.

Quello che è stato fatto finora è in realtà un po’ diverso, ad esempio dell’interessante campagna “Just because it looks Italian, doesn’t mean it’s Italian” che sarebbe dovuta partire ad Aprile in Canada c’è solo il sito e sulla creazione del marchio si potrebbero iniziare molte discussioni:
Guardando il logo che dovrebbe essere il Segno unico distintivo Made in Italy ci si chiede “ma perchè un logo in inglese?” , “ma non assomiglia troppo a quelli falsi che tentano di sconfiggere?”

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Per non parlare del video che in tutto questo non presenta neanche un piatto di spaghetti al pomodoro come fatti come si deve (con il pomodoro vero, per intenderci).
Inoltre una delle altre domande che viene da porsi è: “Ma dobbiamo attaccare solo con la comunicazione?” 
Se volessimo imparare qualcosa dall’estero potremmo prendere esempio dai nostri vicini Svizzeri che con il progetto Swissness puntano a trovare una risoluzione legislativa al problema dell’utilizzo smodato della bandiera svizzera in marchi e prodotti.

Insomma, le soluzioni per arginare questo problema si possono sicuramente trovare, ma come spesso accade sarà un processo lungo e decisamente difficile…

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Riguardo a

Claudia Bonato

Diplomata in Grafica Pubblicitaria, mette per poco da parte il lato artistico per dedicarsi anima e corpo ai codici di programmazione. Si occupa dell'Assistenza Tecnica del sito alvearechedicesi.it e gestisce l'Alveare di Cuorgnè. Devota del movimento Zero Waste passa intere giornate a cercare di capire come salvare il mondo. http://www.alvearechedicesi.it

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